Parlare da soli: penso, quindi sono

Parlare da soli non è sempre indice di un disturbo mentale. Al contrario, questa variante a voce alta di quel nostro dialogo interiore che intratteniamo continuamente con noi stessi sarebbe cruciale per far funzionare la memoria e l’autocontrollo. Oggi quando vediamo una persona per strada che conversa senza nessuno accanto diamo per scontato che in realtà abbia un interlocutore attraverso un auricolare ed un telefono … ma se non fosse così? Approfondiamo l’argomento

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Parlare serve a comunicare con gli altri: se manca un interlocutore, che senso ha parlare da soli? E’ in base a questa idea che è sorta l’equiparazione automatica tra soliloquio e insania. Ma è un’idea sbagliata. Il linguaggio, tramite la voce interiore e le sue articolazioni esteriori, è parte integrante degli ordinari meccanismi con cui la nostra mente svolge una serie di compiti essenziali che nulla hanno a che fare con la comunicazione ad altri: per esempio le funzioni di memoria e autocontrollo. Nessuno pensa sia matto lo studente che ripete ad alta voce preparando un esame. La continua ripetizione vocale silente o sonora – il cosiddetto loop fonologico - è considerata una componente centrale della memoria di lavoro, quella con cui serbiamo in mente informazioni.

E l’autocontrollo? La capacità di resistere agli impulsi dipende dal gioco tra due sistemi: quello “caldo” affettivo, che ci induce a soddisfare emotivamente gli impulsi senza curarci delle conseguenze, e quello “freddo” cognitivo che cerca di improntare l’azione a considerazioni razionali. Bene, secondo un modello condiviso da molti studiosi, questo sistema “freddo” è sostenuto dalla memoria di lavoro ed in particolare dalla voce interiore. L’aumento dell’impulsività dipenderebbe dunque da un intralcio al dialogo con se stessi.

Quante volte vi sarete detti: “non mangiare quella torta!”, “vai in palestra a fare gli esercizi!”, “non rispondere in modo scortese!”. Sembra che parlare da soli aiuti a raggiungere i propri obiettivi, nel dialogo con noi stessi è come se avessimo all’opera un grillo parlante interiore.

 

Parlare da soli: perché?                                                                         

Al di fuori dei contesti patologici in effetti le indagini empiriche sul fenomeno del parlare da soli non abbondano. Sicuramente gli esperimenti mostrano che parlare a voce alta può essere un modo per rafforzare gli effetti mnemonici o come abbiamo visto può servire a darsi autoistruzioni per indirizzare il proprio comportamento. Ma non solo. Molti parlano da soli per tenersi compagnia, oppure per immaginare e rappresentare – seppur in modo artificiale – un dialogo, una situazione che si potrà verificare, come la possibile risposta di una persona importante ad una propria richiesta. Può anche servire per prepararsi meglio alla situazione. Spesso capita a chi vive a lungo da solo, come le casalinghe, o comunque in quei casi in cui sia meno disponibile un’interlocuzione reale, diretta.

Parlare da soli a voce alta inoltre rassicura, sia perché placa l’angoscia esistenziale, sia perché distrae dall’ansia di situazioni concrete e pare si riveli spesso cruciale per sciogliere le tensioni e combattere lo stress.

Un ambito più studiato è quello sportivo, dove parlare da soli pare essere un’abitudine consolidata per rafforzare la motivazione e la fiducia in sé.

 

Parlare da soli: quando è patologico?                                                 

Quando il soliloquio è troppo frequente o interferisce con le attività quotidiane è chiaro che può essere la spia di una patologia mentale. Il comportamento va analizzato in termini di frequenza, durata ma soprattutto di rigidità e ripetitività.

Se si esagera può divenire un cedimento alla tentazione di rinchiudersi in se stessi è può sfociare in disturbi ossessivi compulsivi, caratterizzati dalla ripetizione compulsiva di pensieri e/o azioni, o in disturbi ancor più gravi come le psicosi per i quali si perde completamente il rapporto con la realtà.

Se c’è rigidità, pervasività rispetto alle attività abituali e soprattutto se manca una chiara finalità per il soggetto, quello è il discrimine per pensare che un fenomeno sia patologico.

 

Immagine | Cast Away film