Fine dell'anno: tempo di bilanci

Inizio dell'anno nuovo, è tempo di bilanci e anche il semplice gesto di buttare ciò che è vecchio in favore delle novità è segno di un ragionamento, di un confronto tra ciò che ci si lascia alle spalle per andare incontro al futuro

Fine dell'anno: tempo di bilanci

L'arrivo del nuovo anno è uno di quei momenti che segnano un appuntamento fisso con la riflessione. Personalmente nella prima settimana di Gennaio scatta in me, in modo del tutto automatico, un repulisti della casa.

Mandati in rassegna tutti gli oggetti che durante l'anno passato sono stati accumulati e dichiaratane l'assoluta inutilità, va tutto cestinato. Ma, anche se non si è sempre così estremi, il passaggio all'anno Nuovo porta spesso a riconoscere cosa ci sia di vecchio e quindi a fare un bilancio.

A cosa servono i bilanci? Quali sono i momenti tipici in cui occorre capire a che punto si è arrivati e fanno sempre bene?

 

Bilancio: che tristezza!

Certo è bello fare il punto della situazione e scoprire che tanto abbiamo raggiunto nella vita o nel vecchio anno, ma non sempre alla fine del bilancio ci aspetta una bella sorpresa.

Anzi, a volte questo ragionamento si rivela dannoso in sé; è il caso delle persone che soffrono di depressione. La patologia impedisce ai depressi di vedere ciò che di positivo c'è nella loro vita e contemporaneamente sono ossessionati dal vedere e rivedere tutti i loro fallimenti.

In questi casi una sana attitudine a comprendere il proprio percorso di vita, diventa una via crucis inutile e dannosa perché si inquadrano solo i presunti fallimenti che vengono decretati come oggettivi, assoluti e interminabili.

Il bilancio diventa dannoso, davvero dannoso, quando si accompagna a frasi del tipo: "non ho concluso e non concluderò mai nulla", "ho perso tutte le occasioni", ecc.. Si tratta di frasi che precludono qualunque tipo di cambiamento futuro.

 

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Bilancio a 40 anni

Non abbattiamoci non sempre va così male. Vediamo come cambiano i bilanci nel corso della vita. Il primo generalmente si fa ai 40 anni.

Purtroppo anche in questo caso la ricerca non ci dà ottime notizie, quind, se state per giungere a questo traguardo, passate al paragrafo successivo! Già perché sembra che la felicità raggiunga i valori minimi (valori individuali e soggettivi) intorno ai 40 anni per poi risalire successivamente.

Uno studio che ha visto collaborare l'Università di Melbourne con la London School of Economics and Political Science dell'Università di Warwick ha confrontato la soddisfazione di campioni australiani, britannici e tedeschi mettendola a confronto con i dati relativi allo stato di salute fisica.

Tra i 40 e i 42 anni si situa il punto più alto della tristezza, mediamente, sia che si abbiano figli o meno, sia per single che per sposati. La crisi, che prima si situava intorno ai 50 anni, oggi si abbassa a causa del lavoro (che non ha dato i frutti sperati), della vita di coppia (ormai assestata) e dei figli in età adolescenziale.

 

La rinascita a 50 anni

Il bilancio dei 50 è sicuramente più positivo e ci ridà una speranza nel futuro. La felicità a 50 anni comincia la propria rimonta.

I ricercatori della Stony Brook University di New York hanno intervistato 340mila americani (tra i 18 e gli 85 anni) chiedendo loro un bilancio di vita e il loro stato di umore nei giorni precedenti l'esperimento.

Dopo i 50 anni c'è un risveglio del benessere psicologico generale e una diminuzione sensibile del disagio sperimentato.

Se da una parte ciò potrebbe essere giustificato da un assetto stabile della vita, altre ricerche mettono in luce dei cambiamenti strutturali nel cervello che tende a ricordare con maggiore vivivedezza gli episodi positivi mettendo in buona luce la propria esistenza.

 

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