La fiaba dei disturbi di pelle

Un esempio di fiaba terapia in un caso di malattia della pelle

Fiaba: il cavaliere di pelle

“C’era una volta un cavaliere valoroso, che viveva passando di battaglia in battaglia. Aveva un cavallo nero come il carbone e una corazza d’acciaio lucente. Un giorno vagava tra valli e foreste, senza una meta precisa, in cerca della sua prossima avventura, quando s’imbatté in uno strano cartello: “Qui inizia il regno senza tempo”. Si guardò intorno, ma a parte il cartello null’altro indicava i limiti di un regno. Il cavaliere procedette incuriosito a bassa andatura, e vide una porta, un grande portale d’acciaio con ancora quel cartello: “Qui si entra nel regno senza tempo”. Il cavaliere volle varcare quella strana soglia. Si aggirò attento nella valle erbosa che gli si apriva dinanzi, ma non vedeva traccia di esseri umani. Vagò in qua e in là per tutto il giorno e al calare della sera si fermò a riposare sotto un albero. La notte era tiepida e dolce, il cavaliere si sentiva molto stanco e spossato. La corazza gli pesava tremendamente. Avrebbe voluto toglierla, liberarsene per sempre e procedere leggero. Ma aveva paura. Aveva una terribile paura. Senza corazza era indifeso. Ogni nemico avrebbe potuto attaccarlo e ferirlo, e poi con la corazza era un cavaliere, senza corazza chi era lui? Cosa avrebbe fatto nella vita senza la sua armatura e il suo destriero? Con questi pensieri si addormentò.

 

Al mattino si svegliò di buon’ora e riprese a vagare per la valle. Ad un tratto vide a distanza una fanciulla bellissima. Era la donna che aveva sempre sognato, proprio la donna dei suoi sogni, la sua principessa. Subito iniziò a correre per raggiungerla e come le fu dinanzi, di getto la strinse tra le braccia. Ma la principessa sparì. Svanì nel nulla, si dissolse in un attimo lasciando il cavaliere attonito a stringere l’aria. Il suo dolore era cocente, pianse lacrime di disperazione e di struggimento e riprese sconsolato il suo cammino. Ed ecco che rivide in lontananza la bella principessa. Ebbe un tuffo al cuore e si lanciò all’inseguimento. Ancora la raggiunse, l’afferrò e la principessa di nuovo svanì. La cosa si ripeté più volte. Il cavaliere era affranto dal dolore. Piangeva di nostalgia e di disperazione. Non c’era nulla da fare. Non poteva vivere senza quella donna e non poteva averla.” Qui la favola si arresta. Sandro, il paziente che l’ha raccontata non sa andare avanti. Vediamo ora la storia di Sandro.

 

La realtà

Sandro è un uomo di 29 anni, disegnatore pubblicitario, coniugato. Si presenta in terapia per una ipercheratosi. È il primo ed ultimo figlio di una famiglia di commercianti della provincia di Novara. I genitori gestivano insieme una rivendita di materiale elettrico per industrie. Non ricorda nulla di quel periodo. I parenti dicono di lui che era molto attaccato alla madre. Quando Sandro ha cinque anni la madre muore improvvisamente, il padre ha un grave esaurimento nervoso e il bambino viene affidato alle cure della nonna materna. Ricorda la nonna come molto anziana già allora, una donna piccola, canuta, ma ancora agile e attiva. Gli era molto affezionata, era una persona  comprensiva e sempre piena di buoni consigli: proprio la buona saggia nonnina! In quel periodo la nonna è l’unico punto di riferimento affettivo per Sandro. Il padre è lontano e sempre più malato, va molto raramente a trovarlo e in seguito si trasferirà definitivamente in Svizzera. Con lui Sandro non ricorda di avere mai avuto molti contatti. È sempre stata una figura assente, quasi inesistente.

 

Sandro e la nonna vivono piuttosto isolati in campagna, ad alcuni chilometri da un piccolo paese di provincia. Il bambino frequenta lì la scuola elementare, ma, anche per la distanza dal centro abitato, non stringe nessun rapporto significativo con i compagni. Va poco volentieri a scuola, anche se con buoni risultati, perché ha sempre paura a lasciare la casa e di staccarsi dalla nonna. Dice: “ Avevo paura che le succedesse qualcosa mentre io ero via...” E infatti qualcosa succede. Quando Sandro ha dieci anni la nonna muore e il bambino viene preso in cura da una delle sorelle maggiori della madre: la zia Tina. Anche questa donna era abbastanza in là con gli anni e non godeva di buona salute. Comunque Sandro viene allevato amorevolmente dalla zia, frequenta normalmente le scuole medie e le superiori. È solo all’ultimo anno di liceo che la zia non è più in grado di occuparsi di lui e Sandro termina l’anno in collegio. Completati gli studi, deve cercarsi subito un lavoro e si impiega in una grossa agenzia di pubblicità come disegnatore. Il lavoro gli è congeniale e ottiene in breve tempo un notevole successo.

 

In quel periodo conosce una ragazza, Marta, di poco più grande di lui e ancora studentessa universitaria. Dopo poco si sposano. Descrive Marta come molto dolce e remissiva. I primi anni di matrimonio non hanno presentato problemi. Solo nell’ultimo anno, anche in relazione alla scoperta di alcune avventure extraconiugali di Sandro, la moglie ha cominciato a chiedere più spazi personali, si è trovata un lavoro, si è costruita un suo giro di amicizie e di interessi ed ora è spesso fuori casa. I disturbi cutanei di Sandro sono comparsi in questo ultimo anno e non hanno reagito a nessun trattamento farmacologico. Da una iniziale zona di indurimento della pelle al centro del petto (all’incirca all’altezza del cuore) il disturbo si è esteso via via a tutto il petto, alle spalle, alle braccia (nella parte interna), alle mani (sul palmo) e ultimamente alla zona genitale (inguine). 

 

L’uomo duro

Sandro descrive se stesso come ‘un tipo duro’, aggressivo, indipendente ed autonomo. Dice: “Io sono uno che tiene le distanze, non mi piace che la gente mi si appiccichi addosso, mi piace stare per conto mio”. Ha sempre manifestato, almeno negli ultimi anni, una forte tendenza a difendere i suoi spazi personali. Nel lavoro è molto competitivo, vuole vincere e si sente sempre in battaglia. Le sue frasi spesso ripetute sono: “devo sempre stare attento a sventare i tiri mancini dei colleghi”, “l’attacco è la migliore difesa”, “quello è un ambiente di lupi, se non stai attento ti colpiscono alle spalle”. Anche nel rapporto con la moglie mantiene questa posizione di ‘uomo duro’. È Sandro quello che dice che vuol sentirsi libero, non vincolato dal matrimonio, che cerca spazi altrove, che se li prende con le sue avventure extraconiugali. Sostiene di avere sposato la moglie solo per insistenza di lei, per permetterle di uscire dalla famiglia, altrimenti lui non si sarebbe mai e poi mai sposato, perché è contrario ai legami fissi. Il rapporto con la moglie è descritto come nonostante tutto complessivamente buono, emerge però il fatto che mancano totalmente dei momenti di affettuosità fisica, di contatto epidermico, al di là dello stretto necessario per mantenere i rapporti sessuali.

 

La corazza

In questo caso ho cercato di capire insieme a Sandro il senso di quel primo passaggio della fiaba, quello in cui il Cavaliere vorrebbe liberarsi della corazza, ma ha paura. Sandro si identifica immediatamente con il cavaliere della fiaba: “Anche io sono come lui, sempre duro, sempre battagliero, sempre difeso, se lasciassi cadere la mia corazza mi ferirebbero a morte”. Ma parlando del tema della corazza emerge da Sandro anche un vissuto di profonda insicurezza personale, di dubbi sulla propria reale identità. La maschera di durezza gli serve a gestire la sua immagine sociale, sul lavoro come a casa: “Se ti fai vedere debole e indifeso tutti ti attaccano, anzi infieriscono!”. Sandro avrebbe terrore a mostrare la sua parte più tenera e più vulnerabile agli altri, persino alla moglie: avrebbe paura di venire ferito. La sua modalità comportamentale tipica, il ‘mantenere le distanze’, risponde a questa esigenza, Sandro ha paura di venire ferito da un contatto troppo intimo, troppo ravvicinato. La sua forma di difesa abituate è l’indurirsi, l’irrigidirsi, il tenersi lontano dagli altri. Gli elementi di difesa, di durezza, di non contatto diretto epidermico, sono benissimo rappresentati nella fiaba dall’immagine della corazza. Ma Sandro adesso si sta costruendo anche fisicamente una corazza: la sua pelle callosa mima un processo di indurimento che si sta accentuando ancora di più negli ultimi tempi.

 

Emerge il fatto che l’ulteriore irrigidimento di Sandro è iniziato in relazione ai problemi della sua vita coniugale. Quando la moglie ha iniziato a costruirsi dei propri spazi personali, Sandro ha reagito con un’ulteriore ‘indurimento’: apparentemente ha manifestato un comportamento indifferente, anzi apertamente favorevole all’autonomia della moglie, mentre dentro di sé si sentiva ferito e molto impaurito da quello che viveva come un progressivo distacco della moglie da lui. Sandro non voleva sentire una parola dei discorsi della moglie sui propri progressi indipendenti da lui. Dice: “In verità non mi spaventava neanche tanto l’idea che potesse avere anche lei delle altre relazioni sessuali, quello che mi spaventava davvero era l’idea che si potesse allontanare definitivamente da me”. Sandro mette in relazione l’area del petto, in cui è comparsa la prima callosità, con l’area del cuore, dei sentimenti; le braccia sono per Sandro soprattutto quella parte del corpo che serve ad abbracciare e le mani a toccare; l’inguine, vicino ai genitali, è visto in relazione alla sessualità. 

 

L'abbraccio mancato

Nella fiaba, il momento drammatico culminante è costituito dalla impossibilità di un contatto con la Principessa, di una ‘presa affettiva’ stabile su di lei, raffigurato nell’abbraccio di una figura evanescente. Quando tocchiamo il tema della sparizione della Principessa della fiaba Sandro ha una fortissima reazione emotiva: scoppia a piangere e ricorda i vissuti della sua infanzia. Emerge l’immagine della madre, a cui era veramente attaccato e il ricordo della sua improvvisa scomparsa, vissuta da Sandro bambino come un crollo totale del suo mondo affettivo. Alla morte della madre Sandro si era sentito totalmente solo, abbandonato e disperato, pensava di morire anche lui di dolore. La vicenda si era più o meno ripetuta negli stessi termini alla morte della nonna. A Sandro sembrava che tutte le figure a cui si attaccava affettivamente scomparissero poi all’improvviso, ingoiate nel nulla. Sandro aveva in qualche modo messo in relazione il suo attaccamento affettivo con la loro scomparsa.

 

Sebbene avvenuto in età più tarda, anche il distacco dalla zia era stato da lui vissuto in maniera drammatica, riattivando l’intero tema dell’abbandono. In quella circostanza Sandro adolescente aveva reagito con una profonda trasformazione comportamentale: “Non attaccarsi mai ad una donna” era diventata la sua norma. Diceva agli amici: “Le donne devi tenerle sulla corda, se ti attacchi a loro scappano via”, “Se gli corri dietro se ne vanno…”, “Se capiscono che ci tieni, non le ferma più nessuno..”. Anche l’abitudine di Sandro di mantenere più rapporti sentimentali contemporaneamente, era dettata dalla paura profonda che attaccandosi ad una donna sola l’avrebbe persa, ritrovandosi poi nella disperazione più totale. Aveva sempre cercato di mantenere più punti di riferimento affettivo, sperando con questo di cautelarsi dall’abbandono.

 

La maggiore autonomia della moglie era stata vissuta da Sandro come un potenziale abbandono, aveva scatenato tutte le paure precedenti e aveva riattivato, esasperandoli, i meccanismi di difesa. Mi dice: “Anche con mia moglie non potevo mica scoppiarle a piangere in faccia e dirle di non andare via da me, così facendo l’avrei persa del tutto…”. E Sandro aveva cercato ancora una volta di “prendere le distanze”, di allontanarsi affettivamente e di indurirsi ancora di più, per non rischiare di sentire il dolore di una nuova separazione. ‘Tenersi la corazza’, ‘farsi la pelle dura’, ‘non attaccarsi a nessuno’, erano gli unici mezzi con cui Sandro cercava di gestire una situazione che scatenava delle sue angosce profonde.

 

Il cavaliere di pelle

È interessante notare come tutti questi elementi trovino una loro espressione nelle trasformazioni del corpo di Sandro quanto nella fiaba che ha inventato. La pelle è quella superficie che ci racchiude e ci delimita, differenziandoci concretamente l’uno dall’altro. Se esistiamo come entità separate e distinte lo dobbiamo innanzi tutto ad una funzione delimitatrice. Filogeneticamente la prima struttura che compare a dividere una forma di vita dal tutto circostante è una membrana. Ovvero la prima forma che la vita si è data per costituirsi in entità separate è la pelle. A livello psichico ripetiamo lo stesso processo strutturandoci un Io, una ‘pelle psichica’, che ci distingue dagli altri. Possiamo dire che la pelle come struttura corporea e l’Io come struttura psichica, sono analogici, nel senso che hanno la stessa funzione di delimitare un’entità e di differenziarla dal tutto circostante. Sandro non ha utilizzato come suo ‘rappresentante d’identità’ la sua pelle reale, la sua personalità essenziale, ma bensì la sua corazza ( un insieme di atteggiamenti difensivi), tanto che l’abbandonarla gli ripropone il tema della mancanza di identità.

 

La corazza della fiaba si fa ‘pesante da sopportare’ per il Cavaliere, è soffocante e costringente, così come l’insieme dei comportamenti difensivi di Sandro lo limita e soffoca l’espressione delle sue parti più tenere e affettive. L’idea di liberarsi dalla corazza scatena nel Cavaliere della fiaba l’angoscia di essere ferito e di perdere la sua identità, esattamente come l’idea di abbandonare le strutture comportamentali difensive, scatena in Sandro analoghe angosce. Nella fiaba trova piena espressione il tema dell’attaccamento e della sparizione della persona amata, che ha tanto profondamente segnato l’esperienza reale di Sandro fin dalla più tenera età e che ora è il grande tema presente a livello psichico ed emotivo, attualizzato dalla crisi coniugale, ed operante a livello fisico con la comparsa dei disturbi cutanei.

 

La fiaba continua

Invito Sandro a continuare la sua fiaba, cercando un possibile lieto fine. Non è semplice e per parecchio tempo Sandro non riesce a prevedere nessuna soluzione dell’impasse. Poi ha come un’intuizione e conclude la storia di getto. Questo è il proseguo: “Un giorno mentre il Cavaliere giaceva, sempre più disperato, sotto un albero, gli compare dinanzi una vecchia. È una vecchia vestita stranamente, con degli occhi azzurri e chiari e un sorriso buono. Sembrerebbe una fatina, se non fosse così vecchia. Gli dice che deve subito togliersi la corazza e immergersi nel fiume. Se resterà nel fiume tre giorni e tre notti, lei tornerà ad aiutarlo. Il Cavaliere è così giù, che ha poca voglia di badarle, ma è anche talmente disperato che decide di tentare. Si toglie la corazza e si immerge nell’acqua. L’acqua è fresca e chiara. Resta lì e attende. Passa il giorno e passa la notte, e così per tre giorni di fila… e un po’ si rilassa. Al terzo giorno compare la vecchia e gli dice che ora può uscire dall’acqua. Dovrà lasciare lì la corazza, potrà portarsi dietro solo la spada, se proprio vuole. Poi gli dà una pasta appiccicosa da mettere sulle mani, sulle braccia e sul petto; con quella, quando abbraccerà la principessa, lei non potrà più sfuggirgli.

 

Il Cavaliere riprende il cammino e dopo poco ecco riapparire la principessa. Corre come un matto, la raggiunge e l’abbraccia. La principessa resta attaccata alla pasta. Ma invece di ribellarsi, gli butta le braccia al collo e lo copre di baci. Tra le lacrime lo ringrazia di averla salvata. Era colpita da un cattivo sortilegio, costretta a svanire ogni volta, finché non avesse trovato un principe che la potesse trattenere, allora l’incantesimo si sarebbe sciolto e lei avrebbe potuto tornare normale. Così il Cavaliere e la principessa restano insieme e vivono felici e contenti per molti lunghi anni.” 

 

La trasformazione del reale

Generalmente, per quel che concerne la mia esperienza, è sufficiente che venga trovata a livello immaginario una via d’uscita dal punto morto in cui la fiaba si è arrestata, per mettere in moto il processo di autoguarigione dei sintomi fisici. Però non è sempre facile trovare una soluzione alla fiaba! Il paziente che si presenta in terapia con un disturbo organico si trova davvero in uno stato di seria empasse e sta chiedendo un aiuto per uscirne. Le fiabe che vengono inventate hanno spesso la caratteristica di finire male o di arrestarsi a un punto morto e al momento il paziente non vede proprio nessuna soluzione credibile. Quando, nel corso della terapia, compare la soluzione della fiaba, è segno che è stata trovata a livello immaginario (ma non per questo meno operante), una via d’uscita dell’empasse e l’intero sistema si mette in moto in quella direzione. Le trasformazioni fisiche il più delle volte seguono spontaneamente. Per questo di solito non è necessario interpretare la fiaba o coscientizzare l’intero processo affinché il disturbo fisico si risolva favorevolmente.

 

Nel caso di Sandro ho ritenuto opportuno cercare insieme a lui il significato della fiaba anche durante la sua elaborazione. In un certo senso abbiamo usato tutta la fiaba, fin dall’inizio, come spunto per esplorare i temi che presentava. E poi abbiamo usato passo passo, la sua soluzione immaginativa della fiaba, come una guida per facilitare la  modificazione di alcuni comportamenti reali. Sandro vedeva nella “ vecchia ” la saggezza. La vecchia gli ricordava sì un poco la nonna, con i suoi buoni consigli, da lui a volte non capiti razionalmente, ma sempre risultati efficaci in pratica. Ma vedeva nella vecchia soprattutto la ‘propria’ saggezza interiore, quella parte di sé capace di suggerirgli una via d’uscita da  situazioni difficili. In fondo erano già anni e anni che Sandro doveva cavarsela da solo, facendo affidamento giusto sul proprio intuito per superare condizioni non certo facili. Persino in campo professionale, aveva dovuto contare solo sul suo intuito: aveva cominciato a lavorare molto presto e senza una preparazione tecnica specifica e aveva avuto successo proprio grazie ai suoi lampi di genio. 

 

“Togliersi la corazza”, secondo Sandro, poteva rappresentare l’abbandonare la finzione del ‘duro a tutti i costi’, ed l’iniziare a manifestare i propri sentimenti per quelli che erano, rischiando anche di venire ferito o rifiutato. “Stare tre giorni e tre notti nell’acqua” è stato interpretato da Sandro come il piangere, l’entrare in contatto con quel ‘fiume di lacrime’ che si sentiva dentro. La “pasta appiccicosa” è stata da lui vista come ‘l’attaccamento’ affettivo. Avere la pasta sulle mani era, secondo Sandro, manifestare apertamente il suo affetto alle persone. Quando Sandro ha trovato la soluzione della fiaba, la patologia cutanea ha avuto una repentina recessione. Per la modificazione di tutti quei comportamenti difensivi che ci stavano sotto, c’è voluto ovviamente molto più tempo….

 

Nei mesi successivi c’è stata una profonda trasformazione nei gli atteggiamenti caratteriali di Sandro. Ha iniziato piano piano a manifestare più apertamente la propria parte tenera, affettiva, vulnerabile o debole. È stato anche un periodo di grosse depressioni (non in senso clinico!), in cui Sandro lasciato riemergere il proprio dolore per le perdite subite, che non aveva mai pienamente riconosciuto ed espresso. Ha rivissuto le sue  angosce abbandoniche e il timore di perdere le persone care e a provare uno struggente desiderio di contatto e di intimità fisica, tattile. La moglie ha reagito molto favorevolmente a questa trasformazione di Sandro, mostrando che il suo allontanamento dal punto di vista affettivo era proprio in relazione al comportamento troppo distaccato del marito. Così Sandro ha potuto trovare nel suo rapporto coniugale l’affidabilità, il calore emotivo e la vicinanza fisica che cercava e creare una intimità che prima lui stesso non era in grado di rendere possibile, con tutte le sue corazze di pelle e non di pelle…