Apprendere: istruzioni per l'uso

Quali sono i meccanismi dell'apprendimento? Esistono delle linee guida che ci permettono di apprendere al meglio quello che ci interessa sapere? Quanto i fattori socio culturali influenzano il nostro modo di imparare e capire ciò che ci circonda? Lo abbiamo chiesto a Fabio Rondot, autore di Apprendere: istruzioni per l'uso

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Fabio Rondot, psicologo e psicoterapeuta, ci aiuta a capire con il suo libro Apprendere: istruzioni per l'uso, edito da Sonda, quali sono i meccanismi dell'apprendimento, i fattori che ci differenziano gli uni dagli altri, i vari modelli applicabili e come gli insegnanti e i formatori debbano tenerne conto per trasferire al meglio le loro conoscenze.

 

Quali sono i fattori sociali e culturali che più influenzano l'apprendimento?

A costo di sembrar troppo sintetico rispondo: tutti!

 

Quali e quanti modelli di apprendimento esistono?

Dipende dall’unità di misura descrittiva che utilizziamo per rispondere. Se concentrassimo la nostra attenzione solo sulla dinamica assimilazione-accomodamento, potremmo affermare che “tutti fanno così” e che, a questo livello descrittivo, questo è il modello. Chiedendo invece alla persone “mi insegni a fare quel che sai fare meglio”, assisteremmo ad una esplosione di modi di descrivere, suggerire, allenare, verificare… a questo livello descrittivo, sicuramente potremmo affermare che esistono infiniti modi di apprendere.
Dunque, credo che un protocollo di osservazione interessante per prendere sul serio la domanda, potrebbe esser quello di trovare, prima, risposta a queste due semplici domande:
Quando qualcuno ci racconta di com’è fatto l’uomo (del perché uomini e donne fanno quel che fanno), si preoccupa anche di descrivere come apprendono?
Quando qualcuno ci racconta di come apprendiamo, si preoccupa di esplicitare il “come” ha osservato; detto altrimenti, condivide con noi i presupposti che reputa fondamentali per descrivere il mondo?

 

Gli insegnati influiscono in maniera decisiva sui processi di apprendimento: come può l’insegnante differenziare il suo modello di insegnamento in base ai diversi stili di apprendimento di numerosi studenti?

Personalmente credo che gli insegnanti non abbiano tutto questo potere; impariamo comunque qualche cosa! Se mai, un insegnante con cui fatichiamo ad entrare in sintonia didattica, ci farà fare un esercizio diverso da quello previsto: magari sarà la molla che ci farà scattare la necessità di imparare a “chiedere aiuto ad altri”.
Fatta questa premessa, per ogni età dell’allievo possono esser date risposte diverse; voglio dire che ci sono situazioni in cui è funzionale che l’insegnante differenzi l’approccio mentre in altri casi la scelta migliore è offrire agli allievi un unico riferimento. Al di la di tutto ciò, la vera variabile da considerare è la quantità di allievi che ogni insegnate è tenuto ad accudire; per intenderci basta fare un semplice calcolo: un insegnate che gestisce sei classi composte di 25 allievi dovrebbe “accudire” 150 Piani Formativi Individualizzati... vi sembra una richiesta credibile?

 

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Svolgendo attività di insegnamento si finisce col modificare anche la propria capacità di apprendimento? In sintesi, gli insegnanti veramente aperti e in ascolto sono soggetti che apprendono di continuo in modi differenti?

Personalmente non ho ancora avuto la fortuna di incontrare persone che apprendono “sempre” o che siano capaci di “cambiar sé stesse in continuazione”. Potrei provocatoriamente dire che: gli umani che frequento tendono a rispettare le leggi dell’energia, ovvero: per motivati che siano, tendono a rifare ciò che ha funzionato e, ogni volta che possono, tendono a percorrere le strade comunque meno faticose. Così, in questa visione del mondo, che qualcuno potrebbe certamente considerare disincantata, guardo con curiosa ammirazione le persone che ascoltano, certamente, ma soprattutto mi attirano quelle che ascoltano anche sé stesse; persone fiduciose nelle relazioni che creano le opportunità di apprendimento. Insegnanti così “in ascolto” da limitarsi ad offrire opportunità. 

 

 

Quanto la capacità di apprendere è connessa all'attività di problem solving?

Fare del problem solving significa risolvere un problema, attività che non va confusa con quella di scoprire come si fa a far qualcosa. Per intenderci, un conto è utilizzare un algoritmo per risolvere un quesito, un conto è costruire un algoritmo che ci potrà esser utile. In questo senso, il problem solving è più vicino all’apprendere ad apprendere. Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare dell’apprendere ad apprendere ma credo si debba porre molta attenzione nel non confondere il mezzo con il fine; in altre parole, gli apprendimenti che risultano efficaci sono sempre finalizzati all’acquisizione di un certo risultato, “servono a …”, sono dei mezzi che ci consentono di raggiungere un vantaggio. Apprendere ad apprendere potrebbe risultare invece una sorta di esercizio privo di senso; molto utile a chi si occupa di apprendimento (per comprendere meglio ciò che avviene) ma scarsamente utile a chi deve imparare a far qualcosa di specifico. Personalmente non conosco nessuno che abbia imparato ad andare in bicicletta “imparando ad imparare”.

 

Si può lavorare sulla propria modalità di apprendimento anche da adulti?

Idealmente si; ma la vera domanda è: ha senso imparare qualche cosa che non percepiamo come essenziale per la nostra sopravvivenza, il nostro benessere? Le criticità dell’apprendere non sono necessariamente legate all’età ma piuttosto alla reale necessità di dover imparare ancora. Semplificando, potremmo affermare che tanto meno la nostra omeostasi (la nostra sensazione di sopravvivenza garantita, di wellness) è messa in dubbio, tanto meno ci attiveremo per imparare qualcosa di realmente nuovo. A tal proposito gli adulti sono un buon esempio di “sistema” che è in grado di garantirsi l’omeostasi senza dover ricorrere ad ulteriori apprendimenti; al contrario i bambini sono “sistemi” che ricevono costantemente feedback sulla necessità di cambiare il loro stato, tutto intorno a loro indica che “devono cambiare”.
Quindi, per tornare alla domanda, si può lavorare sulla propria modalità di apprendimento in ogni momento ma la probabilità che ciò avvenga dipende dall’esito della sfida tra valori aggiunti identificati e vantaggi secondari consolidati.

 

Quanto è utile approfondire da giovani il proprio stile di apprendimento per la crescita personale?

Tanto quanto lo è conoscere il proprio modo di gioire, soffrire, amare, arrabbiarsi. Prendersi cura di Sé, nel concreto, significa “imparare a prendersi cura del proprio sé”. Nella pratica, chi sa di cosa necessita per star bene, per faticare-soffrire il meno possibile, per acquisire informazioni, per fare esperienze fruttuose, avrà maggiori probabilità di imparare. Detta in altro modo, ognuno di noi può vivere meglio nella misura in cui si allena a farsi domande confrontando le risposte con quelle degli altri.