Cibo, cinema e letteratura fra fame e desiderio

Il cibo non rappresenta solo un mezzo per soddisfare bisogni fisiologici, ma è irrinunciabilmente legato a significati emozionali, simbolici, sociali e culturali. Nel cinema e nella letteratura il cibo diviene vero e proprio strumento di narrazione che, secondo varie angolazioni possibili, connota immancabilmente le vicende che si snodano lungo la pellicola di un film o attraverso le pagine di un romanzo rivelando gli “appetiti”, i desideri e le passioni dei personaggi.

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©Steno, Un americano a Roma / Wikimedia Commons

Il più celebre esempio del cibo nella letteratura è senz’altro quello delle madeleine di Proust (Alla ricerca del tempo perduto, 1913-1927) il cui inconfondibile sapore ha il potere, dopo molti anni, di riportare il protagonista indietro con la memoria alle emozioni e agli affetti della propria infanzia

Il cibo è presente nella letteratura e nel cinema di tutti i tempi, come cornice di riferimento per la narrazione (Il mio grasso grosso matrimonio greco, Il pranzo di Babette), come simbologia centrale che dà titolo all’opera (Pomodori verdi fritti, La vendetta della melanzana), come elemento che va a connotare discretamente ma incisivamente gli eventi dei personaggi.

 

Cibo cinema e letteratura: il desiderio,

Fra i tanti possibili filoni che si possono individuare per esplorare il cibo nel cinema e nella letteratura (Alberto Natale, Food Movies. L'immaginario del cibo e il cinema, 2009), una traccia interessante da un punto di vista psicologico – senza la pretesa di essere esaustiva -  è quella del “desiderio”: quanto il cibo è utilizzato nella narrazione letteraria e cinematografica per connotare le passioni, gli istinti e gli “appetiti” vitali o, al contrario, per negarli o bloccarli fino ad arrivare alla nevrosi e alla psicopatologia?

 

Cibo cinema e letteratura del dopoguerra

Questa linea di indagine, quella del desidero, si intreccia quasi sempre con quella sulla figura femminile, variamente connotata, nel cinema e nella letteratura in rapporto al cibo e ai valori morali, estetici e sociali delle epoche. Ne è un esempio, come afferma Matteo Mugnani, il cambiamento attraversato dal cinema a cavallo della seconda guerra mondiale là dove il cinema pre-belico di stampo fascista (ritratto in Armarcod di Fellini) rappresenta una donna serva e custode del focolare che non mangia e non siede a tavola; mentre il cinema degli anni ’50 e ’60 è popolato dalle così dette “maggiorate” che fanno dell’abbondanza del cibo e delle forme l’icona della ripresa economica e della ricostruzione sociale del Paese (Sofia Loren che mangia un piatto di spaghetti in Ieri, oggi, domani, 1963).

 

Cibo cinema e letteratura fra morte ed eros

Il cibo, ancora, può essere portatore di morte come nel film di Ferreri La grande abbuffata (1973) di sofferenza dell’anima come rivelano alcune pellicole e romanzi dedicati al tema dell’anoressia (Briciole di Ilaria Cirino, Biografia della fame di Amélie Nothomb,  Uomini da mangiare di Christine Leunens ) o dell’ossessione ambivalente per le diete (7 chili in 7 gioni di Luca Verdone o Il diario di Bridget Jones di Helen Fielding). Oppure cinema e letteratura usano il cibo come catalizzatore della sensualità erotica e della passione spesso intrecciata alla quella della stessa arte culinaria come avviene in Chocolat di Harris Joanne (da cui l’omonimo film) o in La finestra di fronte di Ferzan Özpetek.

 

Cibo cinema e letteratura: smarrirsi e ritrovarsi

Nel cibo i personaggi del cinema e della letterature sembrano poter alternativamente trovare e smarrire sé stessi come Mikage, la protagonista di Kitchen di Banana Yoshimoto, che così inizia a narrare la propria solitudine familiare: “Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po' meglio che pensare che sono rimasta proprio sola”.

 

Immagine | garlandcannon